Stamattina ero in auto con Traorè, stavamo ascoltando alla radio il solito programma in lingua bambara che gli piace tanto, una sorta di rassegna stampa radiofonica un po' parlata, un po' urlata.
Gli unici termini che riconosco in genere sono i nomi di persone e Inshallah, una delle parole più pronunciate.
A domani. Inshallah.
Riusciamo a consegnare per giovedì? #Inshallah.
Lo interpreto come Se Dio vuole ci vedremo, Se Dio vuole consegneremo e Se Dio vuole faremo tutto quello che dobbiamo fare. Ma a volte mi sembra nasconda un significato più profondo, più sacro: Sia fatta la volontà di Dio.
Traorè mi dice che alla radio hanno appena annunciato che il Ramadan comincerà domani in Arabia Saudita.
Il Ramadan, periodo di preghiera, riflessione, condivisione e unione per tutti i musulmani del mondo, nel calendario islamico equivale al nono mese dell’anno e dura 29 o 30 giorni, a seconda della luna crescente. É il mese più sacro dell’anno, sento il fermento nell’aria già da giorni e ne approfitto per fare delle domande. Traorè mi risponde contento; ho trovato un buon argomento di discussione.
#Ramadan deriva dalla radice araba ar-ramad, che significa “calore cocente”. In questo periodo tutti i fedeli, tranne i malati, gli anziani, i minorenni (in realtà qui a Bamako mi è capitato di incontrare ragazzi molto giovani che lo praticano), le donne in gravidanza o che allattano (le donne con il ciclo possono decidere di posticiparlo), sono chiamati ad astenersi dal mangiare e bere dall’alba al tramonto. Astinenza anche dal fumare e dall’attività sessuale.
Guardo la borraccia nella borsa e faccio una nota nella mia mente di fare attenzione a non bere in pubblico appena comincerà anche qui in Mali, probabilmente domani. Dovrò ricordarmi anche di non offrire il solito bicchiere d’acqua ai musulmani che verranno a trovarmi a casa, anche se in genere lo faccio in automatico considerando che in questo periodo il termometro segna spesso 40 gradi.
I fedeli praticano il digiuno per commemorare la rivelazione del Corano. Durante questo periodo, l’aspirazione è crescere spiritualmente e avvicinarsi ad Allah. Traorè ci tiene a sottolineare che in questo momento di preghiera si recita il Corano concentrandosi sull’intenzionalità e sull’altruismo delle proprie azioni. È un momento in cui si chiede perdono ad amici, vicini, familiari, e ci si riconcilia.
Scopro che nell’uso comune, almeno qui a #Bamako, a 8 anni i bambini cominciano a prepararsi al Ramadan, ma che non è obbligatorio fino al compimento dei 15/16 anni. Aminata, sarta e amica, mi aveva raccontato che le sue bambine, seppur piccole, hanno cominciato a chiedere di partecipare perché vogliono imitare i grandi.
Ricordo che l’anno scorso, durante questo periodo, ho visto per la prima volta anche le donne pregare per strada. Vedo spesso ad ogni angolo di piccole o grandi vie, uomini che stendono il tappeto e si inchinano in direzione della Mecca per pregare. Ma difficilmente accade di vedere le donne. Traorè mi dice che durante il Ramadan si prega insieme, le donne in fila dietro gli uomini, mai accanto.
Mi viene in mente la meravigliosa Grande Moschea del Sultano Qaboos, a Muscat e mi ricordo la differenza tra la sala dedicata alle donne, piccola, un po' scura, quasi triste, rispetto alla sala dedicata agli uomini, che può ospitare più di 6.000 fedeli. La differenza è immensa. Quella degli uomini ospita un pregiato lampadario centrale costituito interamente da cristalli Svarowsky; un unico, enorme tappeto realizzato a mano da tessitori iraniani e poi il corridoio con la biblioteca, la luce che filtra dolcemente e il miḥrāb, la nicchia posta in direzione della Mecca, finemente lavorato in mosaico. Non c’è paragone tra le due sale.
Traorè continua a parlarmi, riportandomi a Bamako. Mi racconta che ogni giorno il digiuno si rompe mangiando uno o più datteri, perché tradizione vuole che cosi facesse il Profeta. Mentre chiacchieriamo, mi accorgo che nel traffico ci sono tanti carretti colmi di sacchetti di datteri.
C’è una notte in questo periodo che mi incuriosisce per il suo nome poetico,
La notte del destino.
È una notte speciale, la Laylatu Al-Qadr, la notte più magica dell’anno per i musulmani. Traorè sorride quando gli chiedo perché sia cosi magica. Perché le preghiere, mi dice, quella notte sono più forti. Perché quella notte, da sola, vale più di altri mille mesi di devozione. È la notte in cui il Corano venne rivelato dall’arcangelo Gabriele al profeta Maometto. In questa notte viene deciso il destino dei fedeli fino all’anno successivo. La data precisa non è determinabile, dipende dalla luna. È una notte unica. Un viaggio che dura una notte ma che per chi ci crede può determinare una vita. È una notte di perdono, pentimento, invocazioni.
Più ne parliamo, più questo mese mi sembra un grande sacrificio. Ricordo che l’anno scorso a poco a poco ho visto la differenza nei corpi degli amici e conoscenti che dimagrivano a vista d’occhio, leggevo la stanchezza nelle loro occhiaie. Mi risulta difficile immaginare di scegliere di non bere durante il giorno, con il caldo che ti toglie le energie e ti sfinisce. Continuare a lavorare, camminare e svolgere le normali attività quotidiane sotto il sole cocente di Bamako. Forse però, per cercare di capire, devo cambiare prospettiva. Comincio così a parlare del Ramadan con gli amici musulmani con cui ho più confidenza e capisco che ognuno vive questo periodo a modo suo. È un momento di purificazione, un obbligo, un mese di riflessione, ma la chiave, con chiunque parlo, è la condivisione.
Parlo con Moussa, e mi rendo conto che questa esperienza, che ai miei occhi sembra un sacrificio enorme, viene vissuta con gioia. È felice ma soprattutto crede intensamente in questo periodo di purificazione; crede al digiuno, alla possibilità aiutare gli altri, alla volontà di non mentire e cercare di essere per questi 29 o 30 giorni la versione migliore di se stesso.
Sora mi ha raccontato che rompe il digiuno mangiando 7 datteri, e bevendo dell’acqua. Non c’è una ragione precisa, 7 è il numero giusto per lui, mi dice. Mi racconta anche che per tradizione all’inizio del Ramadan, regala un sacco di zucchero ad ognuna delle sue figlie. Un gesto simbolico.
Mi raccontano delle felicità delle serate di Ramadan, famiglie e amici che mangiano insieme, ogni sera in una casa diversa. Penso ai ragazzi che lavorano come guardiani che si riuniscono per strada e su piccole panche di legno imbandiscono un banchetto, a terra la brace per scaldare il tè, ognuno porta qualcosa da casa. Attendono tutto il giorno questo momento, l’iftar, e sono felici di condividere il cibo, di essere arrivati fino a sera e di essere insieme. Ogni sera è una festa. L’#iftar è un momento di gioia in cui si condivide con le persone vicine o con gli sconosciuti. Condividere e regalare un pasto o anche solo un dattero, non importa, basta che sia fatto con il cuore.
È il primo venerdì del Ramadan, il giorno più sacro, e sono in auto con Francesco. Sono da poco passate le 13.00 e sono trascorsi due giorni dalla mia chiacchierata con Traorè. Siamo bloccati nel traffico da quasi due ore, quando improvvisamente ci troviamo circondati da centinaia di persone pronte alla preghiera. Hanno occupato la strada, steso i tappeti e si sono disposti ordinatamente, in attesa che dagli altoparlanti posti all’esterno della moschea cominci a risuonare il sermone del venerdì. Ormai abbiamo spento il motore perché non c’è possibilità di muoversi, non ci resta che attendere.
Allah akbar (Allah è il più grande) recitano insieme. Prima in piedi, le mani aperte vicino al capo, poi incrociate sul ventre. Si inginocchiano, le mani e la faccia a terra. Resto attonita. Sembra una danza, si muovono all’unisono creando onde di movimento, incuranti del sole cocente.
Vorrei fotografare, ma non me la sento di invadere questo momento così intimo anche se si svolge in mezzo alla strada. Sento l’energia che ci circonda. Per un istante vorrei credere anche io così fortemente nella notte del destino, “la notte in cui i cancelli del Paradiso sono aperti, mentre quelli dell’Inferno sono chiusi, e i diavoli sono incatenati, una notte in cui sperare per il perdono dei propri peccati”.
Quella notte guarderò la luna, ascolterò le preghiere, il canto del muezzin e vivrò nella magia che mi circonderà.
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